Giovedì 25 settembre, all'Auditorium Paolo VI della Parrocchia San Nicola Vescovo di San Salvo, si è tenuto un incontro promosso dall'Azione Cattolica, nell'ambito del percorso formativo della ‘Scuola di Pace’.
L'evento, dal titolo Mediterraneo, frontiera di speranza, ha visto protagonista il dottor Pietro Bartolo, medico ginecologico di Lampedusa, europarlamentare e testimone instancabile delle tragedie e dei miracoli che si consumano ogni giorno nel cuore del Mediterraneo.
Ad introdurre la serata è stata Stefania Ciocca, presidente del gruppo parrocchiale di Azione Cattolica, che ha citato le parole del Cardinal Matteo Zuppi e di Don Luigi Ciotti: “Essere costruttori di pace significa non voltarsi mai dall'altra parte”.
Un invito forte e chiaro, che ha trovato eco nella voce e nelle immagini portate da Bartolo.
Pietro Bartolo: il medico che ha scelto la vita. Nato a Lampedusa nel 1956, Pietro Bartolo voleva fare il pescatore, come suo padre.
Ma la sofferenza vissuta nel suo paese, dove spesso le donne morivano di parto e i bambini non sopravvivevano, lo spinse a diventare medico.
Laureato in ginecologia, dal 1992 al 2029 e' stato il responsabile sanitario delle prime visite ai migranti sbarcati sull'isola.
Ha visto corpi straziati, ha ascoltato storie indicibili. E ha scelto di raccontarle, diventando scrittore, attore nel documentario Fuocoammare, e infine parlamentare per dare voce a chi non c'è l'ha.
Testimonianza viva: parole, immagini, ferite. Presentato da Angela Strippoli, Bartolo ha raccontato con sovranita' e dolore le esperienze vissute: bambini strappati alla vita, donne che partorivano tra i cavi d'acciaio, corpi ammassati nei fondi dei barconi, dove non avevano ne' luce ne' aria.
Ha mostrato fotografie, ha condiviso episodi che non si dimenticano come quello della ragazza chiusa in un sacco, che lui ha voluto ispezionare nonostante fosse data per morta.
Un soffio di vita impercettibile lo ha guidato a salvarla.
Anni dopo, a Parigi, l'ha incontrata con suo figlio Pietro: “ Grazie, perché hai salvato mia madre e la mia vita”.
Bartolo ha parlato di genocidio, di torture, di pelle strappata per cancellare il colore della pelle nera.
“Io che ho visto corpi scuoiati vi posso assicurare che siamo tutti uguali. Il sangue è lo stesso per tutti”.
Ha raccontato di una donna nera che ha partorito in condizioni disumane un bambino che alla nascita sembrava bianco e poi crescendo era diventato più nero della mamma.
Un altro racconto straziante è quello di una madre che ha usato una ciocca dei suoi capelli per legare il cordone ombelicale del suo bambino. Ogni storia, un grido. Ogni volta, una preghiera.
Con voce molto commossa e cuore aperto, ha pronunciato parole che hanno toccato profondamente i presenti: “Non c'entra la destra e la sinistra, si tratta di diritti umani. Non c'è niente di più bello dell'amore. Ritorniamo ad essere umani. Il mare mi ha dato tutto, li ho trovato la vita. Ma oggi è diventato un cimitero. E nessuno ne parla”.
A chiudere l'incontro, la poesia di Marianna Fiore, letta da Anna Santoro e i saluti del parroco don Antonio Totaro, che ha ringraziato Bartolo per la sua testimonianza, definendola “un dono per la comunità”.
Bartolo ha ricordato il sogno ricorrente: un bambino che non è riuscito a salvare, lo rimprovera nei sogni. “Perché non sei riuscito a salvarmi?”.
Una serata che ha lasciato il segno.
Un invito a non restare indifferenti. Un richiamo alla responsabilità, alla compassione e alla speranza.
Testo e video a cura di Maria Napolitano